Dal Bar Sport di VB: la mossa dei `grandi’ soci

Non ho ben capito se il Prosecco sia ancora un vino onesto o se, dati gli enormi quantitativi che circolano, abbia perso la sua genuinità. A sentire le chiacchiere che si svolgono al Bar Sport di VB sembra proprio che il vino sia pessimo, tanto da obnubilare le menti.

Notizie di stampa, infatti, informano che i sé dicenti `grandi’ soci di VB – per ora però denominabili solo grandi perdenti perché, disponendo di un solo voto ciascuno, non hanno  contato per nulla – hanno deciso di non partecipare all’aumento di capitale previsto fra poche settimane.

Sembra che la decisone sia maturata a seguito del rifiuto dell’Amministrazione di aggiungere/sostituire, al/nel Consiglio attuale, due rappresentanti dei grandi perdenti. Sorprende che costoro non si diano ancora ragione di un fatto intrinseco al capitalismo di mercato, verso il quale ci si sta dirigendo a fatica, e rimangano attestati al capitalismo di relazione che, comunque, resta parte del primo. Non si vuole cioè prendere atto che, oggi, le azioni si contano e non si pesano. Non si pesa, soprattutto e per fortuna, la passata dabbenaggine.

Quando il dr. Cuccia pesava le azioni e non le contava, il capitalismo era radicalmente diverso: non rendersi conto di questo significa, secondo me, leggere la realtà in maniera fuorviante.

Facendo due conti, se solo lo 0,25% dei soci di VB ha esercitato il diritto di recesso a 7,3€ – cioè ha deciso di attendere l’aumento di capitale e la quotazione per poter incassare – si può presumere che i grandi perdenti si siano lasciati scappare l’opportunità di incassare i `pochi, maledetti e subito’.

Ora non restano, per l’appunto, che le seguenti possibilità: 1) partecipare all’aumento; 2) vendere i diritti di opzione e non partecipare all’aumento;  2) vendere le azioni in Borsa.

A me sembra che:

a) vendere le azioni significhi rischiare di vendere al prezzo di mercato che alcuni paventano essere intorno all’unità, se non al di sotto;

b) vendere i diritti, significhi incassare ben meno dei ‘pochi maledetti e subito’ e nel contempo, tenere le azioni e mantenere così la speranza che la banca si risollevi come previsto dal piano industriale;

c) partecipare all’aumento indicando che si guarda avanti prendendo atto di un investimento sbagliato, puntando sul piano industriale, proponendosi di diventare grandi soci effettivi invece che grandi perdenti, puntando nei fatti e non a parole sul NordEst rischiando i mezzi propri e non quelli di altri, ecc.

In una parola passare dalle parole ai fatti, sborsando pochissimi quattrini ancora che, in fondo, non fanno una gran differenza .

Che si dice al Bar Sport di VB (3)

Dopo la tristissima vicenda parigina, revenons a nos moutons.

Ricordo, a memoria, che notizie di stampa dell’ultima riunione tenutasi al Bar Sport di VB nel corso del w-e hanno dato conto di un fatto degno di rilievo: sembra infatti sia stato raggiunto un c.d `patto di sindacato’ fra il 5% degli azionisti-soci.

A beneficio degli azionisti-soci piccoli e medi, che forse non lo sanno, segnalo che un patto di sindacato non è un accordo fra amici, perdenti o vincenti che siano, ma un accordo fra azionisti di minoranza: il patto ha l’obiettivo di coalizzare pacchetti di azioni di minoranza per negoziare la governance di una società per azioni, quotata o meno.

I pacchetti sono gruppi di azioni, quindi di voti assembleari, che si coalizzano per negoziare poteri di governance così come accade nel globo terraqueo capitalistico (Cina `comunista’ compresa).

Anche nel caso di VB i pacchetti sono gruppi di azioni, ma non sono gruppi di voti perché tutti i gruppi di azioni valgono un voto: quindi un gruppo di azioni composto da 1 azione o da n azioni, vale voti 1 moltiplicato per il numero di azionisti-soci detentori.

Quando l’Associazione `Per Veneto Banca’ sostiene di coalizzare i ‘grandi azionisti’ della Banca non dichiara nulla di impreciso: sostiene solo che coalizza chi è in procinto di perdere, in valore assoluto, più degli altri e dichiara quindi di avere effettuato, a suo tempo, un investimento che oggi appare sbagliato. A valori decisi in Assemblea chi aveva un’azione ha perso circa il 22% come chi aveva 100, 1.000 o 10.000 azioni. Ma, in valore assoluto, chi aveva un’azione ha perso circa 9€, chi aveva 100 azioni ha perso circa 900€, chi 1.000 azioni ha perso 9mila€; chi aveva 10.000 azioni ha perso circa 90.ooo€, ecc. In verità il conto andrebbe fatto almeno un po’ meglio: considerando il prezzo attuale come prezzo di vendita andrebbero aggiunti i dividenti (al netto delle imposte) percepiti negli anni e andrebbero sottratti: il prezzo di acquisto, e gli esborsi necessari per sottoscriver gli aumenti di capitale che si sono susseguiti.

Il risultato andrebbe poi elaborato ulteriormente per  giungere ad una misura più realistica.

Appare dunque evidente che chi ha perso molto in valore assoluto appronti qualsiasi mezzo per cercare di ridimensionare le proprie perdite: tale ridimensionamento però oggi può avvenire solo nella palude che è quella che va contro i piccoli azionisti-soci i quali non hanno il potere contrattuale che dà loro il mercato e cioè la parità di condizioni rispetto ai grandi.

Ma tutti questi conti su chi ha perso non significano nulla in termini di governance: tutti hanno un voto in assemblea. Il che non significa che nella palude ognuno cerchi di ridurre il valore delle proprie perdite: ma nella palude e non nel mercato. Nella palude, si è visto, hanno vinto quelli che sono riusciti a liquidare per tempo l’investimento; cioè azionisti di grandi dimensioni.

Un lettura più realistica dell’annunciato patto di sindacato, dunque, porta a concludere che si tratta di un patto fra amici perdenti che non si rassegnano e che, nelle more della quotazione, tentano di far rientrare la banca nella palude per ridurre le loro perdite. Se avranno successo, loro ridurranno le perdite ma i piccoli azionisti, invece, non ne avranno benefici.

Qualora la banca riesca a non scivolare nuovamente nella palude, il patto fra amici perdenti può trasformarsi in un patto di sindacato se, e solo se: 1) ciascuno di loro sottoscriverà tutte le nuove azioni che verranno emesse e che saranno loro riservate di diritto; 2) se manterranno l’accordo fino al momento di ‘tirare fuori i quattrini’ e li tireranno fuori sul serio; 3) se l’inoptato sarà talmente ridotto da non consentire a BancaIMI di acquisire il 50,1% del capitale sociale; 4) se la quota percentuale di BancaIMI, pur essendo elevata, si accompagnerà ad una esiguità di quote detenute da numerosi piccoli azionisti (c.d. public company).

In conclusione: se le parole hanno un senso, non si tratta di un patto di sindacato ma, per il momento, di una accordo fra azionisti che hanno perso un’ingente somma per avere effettuato un investimento sbagliato.

Ma si sa, al Bar Sport si parla un po’ di tutto, soprattutto se si beve un po’ di improbabile prosecco: l’importante è non credere a quello che vi si dice.

 

Che si dice al Bar Sport di VB (1)

Al Bar Sport, è noto, vi sono molti allenatori, arbitri e calciatori: tutti discutono di tutto, ma nessuno ha la possibilità di allenare, arbitrare o giocare. Su Radio24 ogni giorno vi è la trasmissione `Tutti convocati’, due ore nel corso delle quali si scatenano tutti gli intenditori della pedata (per dirla alla Brera).

Mutatis mutandis, è quanto accade in questo periodo (e capiterà nei prossimi mesi) a proposito delle due più famose banche popolari italiane non quotate (VB e BpVI), poste sotto torchio dalla Vigilanza Unica, in quanto svolgono attività bancaria contravvenendo ai vincoli patrimoniali imposti a tutte le banche dal Comitato di Basilea fin dal 1988.

Siccome non si prende atto di questo fondamentale elemento, la carenza patrimoniale, anche al Bar Sport di VB se ne sentono ogni giorno di tutti i colori: oggi, ad esempio, si cerca di argomentare contro l’immediata trasformazione della popolare in SpA, argomentando in termini economico-finanziari. Riporto in calce un articolo pubblicato oggi su Il Giornale di Vicenza, ove queste argomentazioni vengono ben rappresentate.

La metafora dell’atleta con lo strappo, la febbre e con le scarpe non più adatte può colpire chi non ha chiari i contorni della questione e, in particolare, i soci meno consapevoli: VB non è infatti una banca un po’ ammaccata, ma una banca con carenze patrimoniali molto consistenti rispetto ai rischi già in essere (per i rischi futuri, se ne riparla). Inoltre gli Organi precedenti non hanno tenuto conto, con l’appoggio assembleare, che non è consigliabile avere esercizi in perdita e nel contempo mantenere invariati i dividendi e/o aumentare anche il valore virtuale delle azioni.

Gli Organi attuali (e in particolare il Capo-azienda, cioè il DG) sono gli unici che oggi hanno la responsabilità organizzativa e civile dell’azienda ed è per questo che sono stati nominati da un’assembla con voto capitario. I 200 soci con l’8-10% del capitale potranno  nominare i loro rappresentanti, esercitando il diritto loro spettante, quando le azioni si conteranno e non si peseranno più in base a relazioni amicali.

Quanto al successo dell’aumento di capitale, mi sembra evidente che non se ne possa prescindere, per cui mi sembra appropriata la scelta di essersi avvalsi di una pre-garanzia sulla sottoscrizione dell’inoptato. Ma il valore  effettuale dei diritti di opzione sono ignoti a tutti (compreso il garante) perché, oggi, ci si può solo appoggiare al fair value (ancorché precario) delle azioni.

Guardando i fatti dall’esterno a me sembra che gli Organi attuali stiano lavorando fra due `fuochi’: una pattuglietta di azionisti, svegliatisi solo recentemente, e la Vigilanza Unica.

I primi pensano che i conti si possano sistemare prima di andare in Borsa come SpA; gli altri pensano che i conti si sistemino solo andando in Borsa.

In verità, SpA o Popolare che sia, VB qualora si quotasse oggi, varrebbe il fair value, né più né meno: la trasformazione in SpA, da questo punto di vista, incide poco su questo valore (anche se io penso che il mercato apprezzerebbe l’innovazione della contendibilità dell’azienda), mentre incide notevolmente sulla governance.

E la governance futura sarà decisa da chi sottoscrive l’aumento; per il resto si tratta, per l’appunto, di chiacchiere da Bar Sport che non incideranno né sul valore effettivo della banca, la quale richiede ingenti finanziamenti a titolo di capitale, né sulla governance attuale che ha l’onere di assicurare la chiusura di questa impegnativa operazione.

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Veneto Banca così sarà svenduta (di Roberta Bassan in Il Giornale di Vicenza del 24 settembre 2015)

«Veneto Banca è come l’atleta che deve fare i tremila siepi, ma oggi sconta uno strappo  muscolare,  ha  le  scarpe rotte e pure la febbre. Se mi consente,   direbbe,   l’atleta, aspetta che mi aggiusti un pochino:  guarisca  lo  strappo, mi passi la febbre e cambi le scarpe. E invece no: i tremila siepi  li  vogliono  far  correre ora, di botto, bim-bum-bam, ma  così  l’atleta  non  arriva neppure al terzo ostacolo. Mi viene da pensare male». Loris Tosi, docente universitario, avvocato, è specializzato in tematiche di diritto tributario, ed è colui che l’imprenditore vicentino Matteo  Cavalcante ha definito la `mente’ dell’associazione Per Veneto  Banca,  lo  zoccolo  (per ora) di 200 soci che rappresentano il 10% del capitale sociale  dell’istituto  di  Montebelluna.  Dal  presidente  Favotto e dal cda sono stati ricevuti e hanno chiesto loro di limitarsi all’ordinaria amministrazione, portare la Popolare come obbliga la riforma alla trasformazione in Spa e poi accomodarsi. Per tutta riposta si sono letti sui giornali che il cda aveva approvato un percorso che prevede la quotazione in Borsa e il successivo  aumento  di  capitale  fino ad un miliardo, garantito da Banca Imi, che sarà eseguito nella  prima  metà  del 2016.

Alla faccia dell’ordinaria amministrazione.  L’altro  ieri  si sono rivisti con Favotto, «ma siamo ancora in attesa di alcune risposte». Che poi le domande  sono  chiare:  «Chiediamo – attacca Tosi – di essere informati e partecipare al processo  decisionale  perché siamo  quelli  che  in  questa banca ci hanno messo i soldi e loro, il cda che rappresenta pochissime  azioni,  sta  guidando la macchina di altri».

Aumento garantito.
Partiamo dall’aumento di capitale garantito, significa che deve andare per forza a buon fine, sono le indicazioni che vengono dagli organismi di vigilanza: «Quando l’aumento deve andare a buon fine – ricorda Tosi – bisogna che venga garantito l’acquisto dell’inoptato, cioè qualcuno deve garantire che se le azioni non vengono sottoscritte   dai   soci qualcuno le compra. Ci sono un paio di elementi che ad oggi non conosciamo: a quanto si impegnano a comprare l’inoptato e i costi del servizio. Per Veneto Banca si vocifera, ma non so se corrisponde al vero, che potrebbe pagare una parcella di 40/50 milioni. Una provvigione non disprezzabile  per  comprare  le azioni a  quanto?  Come  soci vorremmo saperlo».

Decisioni.
«Se  uno  guarda  i fatti dall’esterno – analizza – sembra che il cda voglia far sì che fino ad un momento prima siamo una Popolare che decide con voto capitario, un attimo  dopo  siamo  una  spa in cui decidono i soci che hanno    sottoscritto    l’aumento, magari a 5-10 euro per azione, non si sa. E quindi gli azionisti, quelli che finora hanno messo i soldi e oggi ci rimettono, non decidono mai. Noi – afferma – non stiamo contestando il merito delle scelte, di certo non siamo in grado di valutarle perché non abbiamo gli elementi. E non ce li danno. E non capiamo i motivi. E per questo abbiamo chiesto   due   rappresentanti   in cda,  perché  rappresentiamo il 10% del capitale».

Recupero.
Poi  ci  sarebbe  il fucile   puntato   dell’Europa: «Di  cui  però  non  sappiamo niente,  non  conosciamo  come si arriva ad un miliardo di aumento e se la Bce comunica  per  scritto  o  a  voce.  Ci  è chiara una cosa: più il bilancio  è  sofferente,  meno  purtroppo  le  azioni  valgono.  E non c’è ancora un piano industriale che ci dica cosa sta facendo la banca per recuperare la redditività. Così, un miliardo lo trovano come niente, lo hanno già trovato. Chiaro che se le azioni valgono 30euro – fa l’esempio – è difficile trovare il miliardo. A 5 euro – altro esempio – si trova subito, ma così la banca è svenduta.  Con  questo  non  stiamo escludendo la Borsa, ma non dobbiamo correre. Cioè prima di prendere il largo e andare   verso   mari   pericolosi tamponiamo le falle e ripariamo il motore. Quante banche sono state quotate dal 2007
ad oggi? Nessuna. Sistemiamo i conti, poi vediamo».