Al Bar Sport, è noto, vi sono molti allenatori, arbitri e calciatori: tutti discutono di tutto, ma nessuno ha la possibilità di allenare, arbitrare o giocare. Su Radio24 ogni giorno vi è la trasmissione `Tutti convocati’, due ore nel corso delle quali si scatenano tutti gli intenditori della pedata (per dirla alla Brera).
Mutatis mutandis, è quanto accade in questo periodo (e capiterà nei prossimi mesi) a proposito delle due più famose banche popolari italiane non quotate (VB e BpVI), poste sotto torchio dalla Vigilanza Unica, in quanto svolgono attività bancaria contravvenendo ai vincoli patrimoniali imposti a tutte le banche dal Comitato di Basilea fin dal 1988.
Siccome non si prende atto di questo fondamentale elemento, la carenza patrimoniale, anche al Bar Sport di VB se ne sentono ogni giorno di tutti i colori: oggi, ad esempio, si cerca di argomentare contro l’immediata trasformazione della popolare in SpA, argomentando in termini economico-finanziari. Riporto in calce un articolo pubblicato oggi su Il Giornale di Vicenza, ove queste argomentazioni vengono ben rappresentate.
La metafora dell’atleta con lo strappo, la febbre e con le scarpe non più adatte può colpire chi non ha chiari i contorni della questione e, in particolare, i soci meno consapevoli: VB non è infatti una banca un po’ ammaccata, ma una banca con carenze patrimoniali molto consistenti rispetto ai rischi già in essere (per i rischi futuri, se ne riparla). Inoltre gli Organi precedenti non hanno tenuto conto, con l’appoggio assembleare, che non è consigliabile avere esercizi in perdita e nel contempo mantenere invariati i dividendi e/o aumentare anche il valore virtuale delle azioni.
Gli Organi attuali (e in particolare il Capo-azienda, cioè il DG) sono gli unici che oggi hanno la responsabilità organizzativa e civile dell’azienda ed è per questo che sono stati nominati da un’assembla con voto capitario. I 200 soci con l’8-10% del capitale potranno nominare i loro rappresentanti, esercitando il diritto loro spettante, quando le azioni si conteranno e non si peseranno più in base a relazioni amicali.
Quanto al successo dell’aumento di capitale, mi sembra evidente che non se ne possa prescindere, per cui mi sembra appropriata la scelta di essersi avvalsi di una pre-garanzia sulla sottoscrizione dell’inoptato. Ma il valore effettuale dei diritti di opzione sono ignoti a tutti (compreso il garante) perché, oggi, ci si può solo appoggiare al fair value (ancorché precario) delle azioni.
Guardando i fatti dall’esterno a me sembra che gli Organi attuali stiano lavorando fra due `fuochi’: una pattuglietta di azionisti, svegliatisi solo recentemente, e la Vigilanza Unica.
I primi pensano che i conti si possano sistemare prima di andare in Borsa come SpA; gli altri pensano che i conti si sistemino solo andando in Borsa.
In verità, SpA o Popolare che sia, VB qualora si quotasse oggi, varrebbe il fair value, né più né meno: la trasformazione in SpA, da questo punto di vista, incide poco su questo valore (anche se io penso che il mercato apprezzerebbe l’innovazione della contendibilità dell’azienda), mentre incide notevolmente sulla governance.
E la governance futura sarà decisa da chi sottoscrive l’aumento; per il resto si tratta, per l’appunto, di chiacchiere da Bar Sport che non incideranno né sul valore effettivo della banca, la quale richiede ingenti finanziamenti a titolo di capitale, né sulla governance attuale che ha l’onere di assicurare la chiusura di questa impegnativa operazione.
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Veneto Banca così sarà svenduta (di Roberta Bassan in Il Giornale di Vicenza del 24 settembre 2015)
«Veneto Banca è come l’atleta che deve fare i tremila siepi, ma oggi sconta uno strappo muscolare, ha le scarpe rotte e pure la febbre. Se mi consente, direbbe, l’atleta, aspetta che mi aggiusti un pochino: guarisca lo strappo, mi passi la febbre e cambi le scarpe. E invece no: i tremila siepi li vogliono far correre ora, di botto, bim-bum-bam, ma così l’atleta non arriva neppure al terzo ostacolo. Mi viene da pensare male». Loris Tosi, docente universitario, avvocato, è specializzato in tematiche di diritto tributario, ed è colui che l’imprenditore vicentino Matteo Cavalcante ha definito la `mente’ dell’associazione Per Veneto Banca, lo zoccolo (per ora) di 200 soci che rappresentano il 10% del capitale sociale dell’istituto di Montebelluna. Dal presidente Favotto e dal cda sono stati ricevuti e hanno chiesto loro di limitarsi all’ordinaria amministrazione, portare la Popolare come obbliga la riforma alla trasformazione in Spa e poi accomodarsi. Per tutta riposta si sono letti sui giornali che il cda aveva approvato un percorso che prevede la quotazione in Borsa e il successivo aumento di capitale fino ad un miliardo, garantito da Banca Imi, che sarà eseguito nella prima metà del 2016.
Alla faccia dell’ordinaria amministrazione. L’altro ieri si sono rivisti con Favotto, «ma siamo ancora in attesa di alcune risposte». Che poi le domande sono chiare: «Chiediamo – attacca Tosi – di essere informati e partecipare al processo decisionale perché siamo quelli che in questa banca ci hanno messo i soldi e loro, il cda che rappresenta pochissime azioni, sta guidando la macchina di altri».
Aumento garantito.
Partiamo dall’aumento di capitale garantito, significa che deve andare per forza a buon fine, sono le indicazioni che vengono dagli organismi di vigilanza: «Quando l’aumento deve andare a buon fine – ricorda Tosi – bisogna che venga garantito l’acquisto dell’inoptato, cioè qualcuno deve garantire che se le azioni non vengono sottoscritte dai soci qualcuno le compra. Ci sono un paio di elementi che ad oggi non conosciamo: a quanto si impegnano a comprare l’inoptato e i costi del servizio. Per Veneto Banca si vocifera, ma non so se corrisponde al vero, che potrebbe pagare una parcella di 40/50 milioni. Una provvigione non disprezzabile per comprare le azioni a quanto? Come soci vorremmo saperlo».
Decisioni.
«Se uno guarda i fatti dall’esterno – analizza – sembra che il cda voglia far sì che fino ad un momento prima siamo una Popolare che decide con voto capitario, un attimo dopo siamo una spa in cui decidono i soci che hanno sottoscritto l’aumento, magari a 5-10 euro per azione, non si sa. E quindi gli azionisti, quelli che finora hanno messo i soldi e oggi ci rimettono, non decidono mai. Noi – afferma – non stiamo contestando il merito delle scelte, di certo non siamo in grado di valutarle perché non abbiamo gli elementi. E non ce li danno. E non capiamo i motivi. E per questo abbiamo chiesto due rappresentanti in cda, perché rappresentiamo il 10% del capitale».
Recupero.
Poi ci sarebbe il fucile puntato dell’Europa: «Di cui però non sappiamo niente, non conosciamo come si arriva ad un miliardo di aumento e se la Bce comunica per scritto o a voce. Ci è chiara una cosa: più il bilancio è sofferente, meno purtroppo le azioni valgono. E non c’è ancora un piano industriale che ci dica cosa sta facendo la banca per recuperare la redditività. Così, un miliardo lo trovano come niente, lo hanno già trovato. Chiaro che se le azioni valgono 30euro – fa l’esempio – è difficile trovare il miliardo. A 5 euro – altro esempio – si trova subito, ma così la banca è svenduta. Con questo non stiamo escludendo la Borsa, ma non dobbiamo correre. Cioè prima di prendere il largo e andare verso mari pericolosi tamponiamo le falle e ripariamo il motore. Quante banche sono state quotate dal 2007
ad oggi? Nessuna. Sistemiamo i conti, poi vediamo».