Unicredit sta realizzando una operazione di aumento di capitale complessa e ambiziosa. Forse troppo. La tabella che espongo sotto riassume i dati fondamentali dell’operazione attualmente in valutazione da parte degli investitori.
Si tratta di un aumento di capitale per 7,5 miliardi. Nel momento attuale l’esistente capitale viene valutato in soli circa 10 miliardi di euro, a prezzi correnti. L’aumento è dunque rilevantissimo rispetto alle dimensioni attuali degli investimenti in essere da parte di investitori e enti partecipanti. L’aumento non sarebbe stato così rilevante se fosse possibile prendere come riferimento i prezzi di carico a cui quasi tutti gli investitori hanno il titolo. Ma appunto questo non lo si può fare.
La tabella esposta mette in evidenza i seguenti punti:
a) Il “Terp” (prezzo teorico ex diritto d’opzione) è il prezzo equivalente a quello attuale che si dovrebbe riscontrare sul mercato dopo l’aumento di capitale (realizzato nei termini proposti al mercato). Nel momento in cui l’operazione veniva comunicata il prezzo di una azione era 6,4020. Realizzando l’aumento di capitale nel numero delle azioni e nel prezzo proposto la quotazione equivalente era 3,4293 euro. Fatto l’aumento di capitale, il prezzo si muove istantaneamente da 6,4020 a 3,4293 senza procurare una reale minusvalenza o plusvalenza per nessuno. Con questo passaggio i valori si conservano intatti, sia pure su un numero diverso che tiene conto del nuovo numero delle azioni in circolazione e del prezzo pagato sulle nuove azioni.
b) E’ possibile comprare una azione Unicredit o comprando una azione “vecchia” e vendendo il diritto o comprando il diritto e pagando 1,943 (prezzo di emissione proposto). La prima strada costa, a prezzi del momento dell’annuncio, 6,4020 (quotazione) e rende 2,97 (due diritti venduti) per un totale di 3,4293. La seconda strada costa invece la sottoscrizione (1,943) più il prezzo del diritto di sottoscrizione (1,49) per un totale sempre di 3,4293.
c) Le regole di arbitraggio appena descritte sono un “classico”. Sono aspetti tecnici imprescindibili per seguire un aumento di capitale.
Passo a qualche commento invece riferito al caso specifico.
1) La tabella consente di comprendere che il Terp non è fisso, come qualche commentatore ha inteso, ma si modifica in parallelo al modificarsi del prezzo del titolo. In questi giorni il prezzo è sceso e quindi il Terp sta scendendo. La tabella esposta consente di seguire questo legame.
2) L’aumento di capitale diventa tecnicamente impossibile quando il prezzo di borsa scende sotto al prezzo di sottoscrizione (1,943). Qualcuno ha inteso invece che l’aumento di capitale divenga impossibile quando il prezzo di borsa scende sotto il Terp (a 3,42, peraltro non troppo distante dai prezzi di oggi). Questo non è vero ed una conseguenza del fatto che Terp si riduce allo scendere del corso dell’azione. Il limite tecnico inferiore rimane comunque a 1,943. Siccome è stato posto così in basso ne consegue che arrivare da quelle parti costituisce in ogni caso uno scenario da Apocalisse. Il problema non è tanto che l’aumento di capitale non è più in zona di attivabilità tecnica. Il problema è che l’emittente non viene giudicato, in tale scenario, di nessuna affidabilità.
3) Chi progetta un aumento di capitale può mettere il prezzo di sottoscrizione a qualsiasi prezzo al di sotto del peggior prezzo che si può ipotizzare nel periodo in cui l’aumento di capitale va in esecuzione. In questo caso il prezzo di sottoscrizione è stato posto molto in basso (1,943). Per quale ragione è stato fissato così in basso ?
4) Su questo punto possiamo fare una congettura. Proponendo un prezzo basso si induce a pensare che l’operazione sia conveniente. Una convinzione di questo genere è sbagliata. Ma qualche investitore che non conosce l’”algebra” degli aumenti di capitale finisce per pensarlo. E’ probabile che anche qualche presidente di fondazione azionista non conosca quest’algebra e da qui nasce una soluzione commercialmente idonea a sostenere la sottoscrizione. Ma appunto è una congettura. Magari la ragione è stata che l’emittente temeva già una dinamica del prezzo particolarmente avversa e voleva proporre un prezzo indiscutibilmente superiore al “pavimento” tecnico.
5) L’emittente non ha però considerato la controindicazione di un prezzo di sottoscrizione così basso. Se il prezzo di sottoscrizione è basso, ne deriva che il valore del diritto è parimenti elevato. Vendendo il diritto, l’investitore che ha in carico una vecchia azione finisce per disinvestire parte della somma precedentemente impegnata, tramite la vendita dei diritti. Insomma, l’emittente forse non ha dato importanza al fatto che una operazione che configura diritti di sottoscrizione di un certo peso costituisce un mezzo pericoloso. In quanto tale investitore, se decide di non sottoscrivere, riesce a mantenere le vecchie azioni e a rientrare in parte sul cash.
6) Unicredit realizza un aumento di capitale per 7,5 miliardi. Occorre quindi che ci siano investitori disposti a versare 7,5 miliardi cash nuovo nel progetto Unicredit. Con i diritti così congegnati, posizionati in alto, gli investitori devono pagare anche questi (o cash incrementale per l’acquisto di diritti che non si hanno o attraverso la rinuncia alla vendita di diritti che si hanno). Si tratta di altri 5,7 miliardi, per un totale di 13,2 miliardi.
– In questa fase non esiste in circolazione cash per una sottoscrizione così consistente. Il mercato è fatto dall’equilibrio della domanda ed offerta. Ma tale equilibrio non è detto che esista.