I nostri soldi investiti nei debiti degli altri (e non potrebbe essere altrimenti)

Ripubblico un mio articolo comparso in NE Economia, supplemento del Mattino di Padova, il 7 nov. scorso.

 

Ma cos’è questa roba per la quale tutti i giorni andiamo al lavoro, ci arrabattiamo per conquistarne un pezzo, per custodirla e per difenderla dai gatti e dalle volpi che infestano le contrade? Questa roba che, una volta conquistata con fatica, viene ceduta il più presto possibile quasi fosse infetta?

Questa roba sono i schei: quello che gli economisti chiamano moneta; quello che il pubblico chiama risparmio; quello che altri considerano una vera e propria vincita, memori dell’antica saggezza che dichiara articolo quinto: chi gà i schei gà vinto. Infatti, ci si disfa dei schei spendendo nelle botteghe, depositando nelle banche o custodendoli sotto il materasso.

Se osserviamo bene, notiamo che i schei assumono poche, diverse forme fra le quali: 1) pezzi di carta con un numero stampigliato (5, 10, 20, … euro); 2) carte di plastica; 3) frasette seguite da numeri scritte su documenti che le banche ci inviano.

Quando abbiamo fra le mani pezzi di carta o di plastica non si ritiene di detenere del risparmio ma, giustamente, di disporre di roba utile ad acquistare quello che ci serve, cioè di mezzi di pagamento.

Quando, invece, riceviamo i documenti della banca abbiamo la certezza che su di essi vi è scritto l’ammontare del nostro risparmio, costituito da due gruppi di informazioni: l’ammontare del nostro deposito; il valore dei nostri strumenti finanziari (i `titoli’) depositati nella banca.

Quando facciamo il conto di quanto possediamo, sommiamo il valore dei depositi al valore dei titoli, ed è questo il nostro risparmio.

Ma vi è una differenza fondamentale fra i due valori che abbiamo sommato: mentre il valore dei depositi è assimilabile ai mezzi di pagamento, il valore dei titoli, per essere speso, deve essere trasformato in mezzi di pagamento.

Nel linguaggio corrente dunque si considera risparmio la parte che si detiene in titoli e si può concludere che il risparmio corrisponde al valore dei titoli in nostro possesso.

Sorgono così diversi complessi e difficili problemi perché i titoli, nel loro significato più semplice e immediato, corrispondono a finanziamenti concessi agli emittenti quei titoli. Ad esempio: BOT, BTP, ecc. corrispondono ad un finanziamento a favore dello Stato e quindi a un debito dello Stato; le Obbligazioni e le Azioni corrispondono ad un finanziamento a favore dell’emittente (FCA, Generali, Unicredit, ecc.).

Dunque i più semplici strumenti finanziari (Titoli di Stato, Obbligazioni, Azioni) corrispondono a finanziamenti a favore di chi li emette (Stato e/o Imprese).

Le Imprese emettono sia azioni, sia obbligazioni: ma, nel primo caso, si finanziano a titolo di capitale, cioè emettono quote di capitale sociale (azioni) mentre, nel secondo caso, si finanziano a titolo di credito, cioè emettono obbligazioni, con l’implicito obbligo di rimborso. I detentori di azioni e di obbligazioni assumono così i rischi dell’emittente; ma, se l’impresa funziona, l’azionista non ha il diritto di ricevere alcun compenso né alcun rimborso, mentre l’obbligazionista ha il diritto sia ad un compenso sia al rimborso, entrambi predeterminati. In caso di dissesto, invece, l’azionista perde tutto mentre l’obbligazionista è un creditore privilegiato.

Gli aspetti fin qui delineati sembrano tecnici, ma costituiscono la base di qualsiasi ragionamento sul risparmio.

I titoli, il nostro risparmio, sono dunque finanziamenti e quindi debiti degli emittenti (Stato e/o Imprese). Essi, nel contempo, sono lo specchio degli investimenti dell’emittente, cioè delle prospettive economico-finanziarie future dell’economia dell’emittente.

Ma si sa che il futuro resta saldamente nelle mani degli dèi, anche se gli studi matematico-statistici applicati all’economia, uniti alla mostruosa capacità di calcolo dei computer, hanno fatto enormi progressi consentendo di scrutare il futuro; ma i risparmiatori debbono essere consapevoli del rischio insito negli eventi futuri.

Si dispone tuttavia di molteplici osservazioni empiriche e pluriennali che consentono a qualsiasi risparmiatore di orientarsi, almeno in linea di massima: i titoli a scadenza breve sono meno rischiosi di quelli a scadenza lunga; i depositi bancari (che sono garantiti fino a 100mila euro) sono meno rischiosi dei titoli; i Titoli di Stato sono meno rischiosi di quelli di altri emittenti; le obbligazioni sono meno rischiose delle azioni; i titoli quotati in Borsa sono meno rischiosi di quelli non quotati; i titoli con un elevato rendimento sono più rischiosi degli altri; infine un portafoglio composto da diversi titoli è meno rischioso di un portafoglio con un solo strumento finanziario.

Oggi siamo però di fronte a scenari molto complessi e pertanto molto rischiosi. Mi limito a due soli esempi: la qualità dei titoli e l’intreccio fra banca, finanza e assicurazioni.

Sul primo punto, basti pensare ad uno strumento finanziario, oggi molto diffuso ma appena più complesso, qual è la quota di un fondo comune di investimento mobiliare. Si tratta di una parte di un portafoglio di strumenti finanziari costruito ad hoc da professionisti con l’obiettivo di diversificare il rischio insito nei singoli strumenti di cui il portafoglio si compone. Ebbene, di regola, il risparmiatore ha un’informazione molto generica sui titoli che fanno parte del Fondo (e non potrebbe essere diversamente), inoltre le quote del Fondo non sono quotate in Borsa, anche se sono quotati i titoli che ne fanno parte: è dunque la fiducia nell’emittente e nel futuro che stanno alla base di qualsiasi scelta di investimento del risparmio.

Sul secondo punto, ricordo che il Settore Bancario-Finanziario-Assicurativo è molto complesso, sia per la complessità degli strumenti finanziari che emette (ad es. i derivati), sia per la commistione fra banche, imprese finanziarie e società assicurative (i conglomerati finanziari) che hannoo la necessità di frequentare tutti i mercati del credito del mondo e quindi tutti i mercati del risparmio mondiale.

4 pensieri riguardo “I nostri soldi investiti nei debiti degli altri (e non potrebbe essere altrimenti)

  1. Grazie, interessante articolo in quanto va alla radice di quello che sono gli investimenti i.e. il debito ed il capitale degli emittenti (ovvero le fonti di finanziamento, in fondo a destra nel bilancio). Concetti tutto sommato semplici ma sui quali spesso si trova confusione.

    A mio avviso, un modo di gestire la complessità è quello di riuscire a scomporre ogni investimento nelle sue componenti essenziali, appunto il debito e/o il capitale, analizzandone le inteconnessioni e le implicazioni. Ove ciò non sia possibile per una varietà di ragioni (es. mancanza di informazioni, difficoltà nel seguire il filo logico sottostante la struttura dell’investimento) l’investimento non andrebbe intrapreso. Ciò non significa che tutti dobbiamo essere analisti o gestori di fondi, piuttosto deve essere chiaro in cosa consista il “precipitato” dell’investimento, in altre parole il debito e/o il capitale sottostanti il c.d. ‘risparmio’. L’implementazione e la gestione dell’investimento possono poi essere delegate (ricollegandosi al tema della fiducia).

    La complessità degli investimenti probabilmente è sempre esistita, con una differenza che prima l’informazione era più difficile da ottenere mentre oggi ne possiamo reperire forse troppa e talvolta anche fuorviante, in tempo quasi reale.

    Sulla commistione fra banche, imprese finanziarie e società assicurative concordo che ciò aumenta la complessità ma forse a monte di tutto va considerata anche l’etica (in senso lato) degli intermediari finanziari oggetto di analisi, nonché i principi e la qualità del sistema in cui operano (i quali possono variare significativamente da Paese a Paese).

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    1. Le persone normali è ben difficile che comprendano la differenza fra debiti e capitale, soprattutto quando il debito si avvicina al capitale (obb. subordinate) o quando debito e capitale non sono quotati o quando debito e capitale sono ricomposti in quote di fondi. La maggior parte dei venditori che conosco non sa la differenza fra fondi pensione e fondi comuni, eppure vendono.

      Il risparmiatore non sa cosa c’è dentro un fondo, né lo sa il venditore: lo sanno solo coloro che confezionano il prodotto: ma di questo nessuno parla. E, secondo lei, dove finiscono le enormi dosi di titoli frutto delle cartolarizzazioni? Inoltre, la maggior parte dei risparmiatori che conosco non sa che quando compra ci sono delle fee, ma anche quando vende.

      È a tutti noto che il livello di conoscenza finanziaria nel nostro Paese è vicina allo zero, per cui è facile vendere soprattutto in un mondo, come quello finanziario, fondato sulla fiducia; ma la fiducia non è fede e quindi bisognerebbe darne testimonianza continua, altrimenti la si carpisce. E ne abbiamo prove continue tutti i giorni, e non quando un risparmiatore compra (il che è facile), ma quando vuole uscire dall’investimento. È un po’ quello che accade quando si accede ad un operatore telefonico che ha promesso mari e monti all’entrata ma quando si vuole cambiare fioccano le difficoltà.

      Quanto all’etica, mi sembra una parola grossa, sprecata e, soprattutto, scientificamente disattesa in generale. È vero, varia da Paese Paese, ma vi sono Paesi ove la consapevolezza finanziaria è maggiore ed è anche colpa del sistema, ma il sistema è anche la somma di comportamenti individuali.

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      1. Suppongo il mio messaggio sia apparso alquanto idealista e poco pratico nella realtà odierna ma se non altro abbiamo definito gli estremi fra quello che si fa / è fatto sino ad oggi e quello che forse si potrebbe fare.
        Credo le discussioni in un blog servano a destare consapevolezza di quali sono i problemi ma possibilmente offrire qualche soluzione, o traccia di essa. Dovesse almeno uno dei nostri lettori affacciarsi nel mondo del risparmio domani ponendosi la domanda di cosa stia comprando (magari chiedendosi come sia possibile che un investimento possa rendere il 5% quando gli altri offrono il 2%) già mi sentirei più utile e speranzoso che da un ‘Paese a cultura finanziaria zero’ si possa passare a qualcosa di più soddisfacente.
        La ringrazio quindi per continuare ad esporre e diffondere queste tematiche. Nel mio ottimismo credo che qualcosa stia cambiando, sebbene molto lentamente…

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        1. Il 2 nov. scorso il MEF ha proposto un cambio fra alcuni suoi debiti e un BTP 2033 al 5,75%: i venditori che promettono tassi di rendimento netto non in linea con questo indicatore e analoga liquidità, secondo me, realizzano i seguenti obiettivi: 1) si arricchiscono a carico dei citrulli che potrebbero peraltro informarsi data la messe di informazioni che circolano; 2) carpiscono la buona fede del pubblico disinformato; 3) per risultare credibili, essi stessi, qualora non lo siano già si travestono da citrulli per essere all’all’altezza dei loro interlocutori.

          Non mi dilungo sulle vessazioni poste in essere qualora il risparmiatore, accortosi di essere stato ingabbiato, cerca di uscirne avendo finalmente capito che l’investimento, per definizione, dovrebbe essere smobiiizzabile.

          Però, come diceva Voltaire in Candide, viviamo in uno dei mondi migliori… in cambiamento. E… stia tranquillo, tanto nessuno legge

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